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Gabriele Simongini, Tullia Socin. Dal realismo introspettivo alla visione cosmica

 

DAL  CATALOGO  DELLA  MOSTRA  ANTOLOGICA   
DI  TULLIA  SOCIN  A  SABAUDIA   nel centenario
dalla nascita -      19  luglio   -   16  agosto 2008


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Nota critica del curatore  Gabriele  Simongini
docente  di  storia  dell' arte  moderna  e   
contemporanea  all' Accademia  di Belle Arti - Roma
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TULLIA  SOCIN
dal  realismo  introspettivo  alla  visione  cosmica


Sempre di più nel mondo odierno, afflitto da una vorticosa velocità degli scambi sociali e psicologici che porta irrevocabilmente  verso il deserto dell' oblio, una missione di vitale importanza sembra affidata a quei custodi della memoria che con la loro attività meritoria rallentano l' attuale accelerazione senza senso della nostra epoca e cercano di destare un'  attenzione riflessiva su figure degne di nota della nostra storia culturale ed artistica che altrimenti resterebbero completamente dimenticate.  In questo caso, si deve all' amore puntiglioso di Maria Pia Socin  la riscoperta e la difesa appassionata del percorso creativo di sua sorella Tullia Socin, artista dalla spiccata personalità che si è conquistata parecchi riconoscimenti critici ed istituzionali in vita per poi essere avvolta nel silenzio.E merita quindi un plauso l' iniziativa di Francesca D' Oriano e dell' amministrazione comunale di Sabaudia di dedicare alla bolzanina Socin questa pregevole mostra.

Quel che colpisce nel lungo ed inesausto itinerario creativo di Tullia Socin è la ferrea determinazione a coltivare il proprio sogno artistico cercando sempre di muoversi con oscillazione pendolare fra elementi opposti per trarne le qualità positive e poterle poi conciliare attraverso le superiori ragioni della forma.  Ma, come le aveva insegnato il suo maestro Virgilio Guidi all' Accademia di Venezia, questa cristallina coscienza formale si deve sempre congiungere ad un senso di umanità profonda e di verità vitale:  un impegno etico a cui Tullia Socin terrà infatti  fede per tutta la sua esistenza e lungo il suo intero percorso, in diverse modulazioni.  E certo l' artista di Bolzano ha potuto ben condividere quanto scriveva Guidi del 1935:
" Al nostro tempo s' addicono molto più chiarezza plastica e semplicità  umana;  così credo pure che esso non meriti la rappresentazione dei suoi grandi fatti nel modo illustrativo e non nella loro profonda verità".
( cfr. V. Guidi  - Testo nel catalogo della II Quadriennale d' arte Nazionale,      
Roma,  Palazzo delle Esposizioni,   febbraio - luglio 1935, p.129 )

Tullia Socin è nata ed ha ricevuto la prima educazione in quella Bolzano austro-ungarica che alla fine del 1918 è stata annessa al nostro paese, diventando italiana dal punto di vista politico ma non certo sotto l' aspetto culturale e sociale.  Insomma, una Bolzano come città di frontiera, in cui dovevano dialogare, magari anche scontrandosi, due culture molto distanti l' una dall' altra.
Ebbene, Tullia Socin si è dimostrata fin da giovane desiderosa di mettere a confronto direttamente, tramite la propria esperienza, diversi linguaggi  pittorici, anche grazie a viaggi e spostamenti favoriti con lungimiranza dai suoi genitori e certo non troppo consueti per una giovane donna nella prima metà del secolo scorso.  Inoltre l' artista di Bolzano ha saputo sempre conservare gelosamente le proprie radici e la propria identità aprendole però ad un respiro nazionale ed anche internazionale.
Senza dubbio è stato fondamentale il suo percorso formativo alla  " Regia Accademia delle Belle Arti di Venezia " dove si diploma nel 1932 dopo aver frequentato per quattro anni il corso di Virgilio Guidi.
Oltre all' identificazione fra senso della forma e verità di vita comunicatale da Guidi, la giovane Socin dovette appassionarsi sicuramente al nucleo fondamentale della ricerca del suo maestro:  la luce.

A tal proposito scriveva ancora Guidi, dopo essere arrivato a Venezia nel 1927:  "Nel Veneto il sentimento della luce ricomincia un nuovo cammino dalla fisicità all' idea.  Infatti non fu la pittura veneta a muovere il mio immediato interesse, ma l' atmosfera limpida fosforescente morbidissima forse così a me non veneto. (.....)  Senza la luce il colore e la forma non hanno alcuna verità.  Tutto il sospetto che in quegli anni ispirava la parola luce  era dato dalla concezione fisica della luce da quella che si può dire luce atmosferica che non è luce e che è veramente dissolvitrice di corpi.  Tutte le reazioni all' impressionismo   hanno  negato  la  luce   credendo  che  quella
dell' impressionismo fosse luce mentre è chiaro".
( cfr. V: Guidi, Pittura d' Oggi, collezione del Vieusseux editore, Firenze 1954, pagg. 85-109 )

E così, sulle orme di Guidi, la Socin impara a diffidare di una luminosità solo fisica e naturalistica per cercarne una mentale. Alcune sue opere distese fra gli anni Venti e l' inizio dei Trenta come LA  SORELLINA  (1929), AUTORITRATTO  (1930),  SOGNI  DI  MADRE  (1932), rivelano, nella netta bipartizione dei volti tramite la contrapposizione dialogante fra luce ed ombra, un' evidente riflessione sulla pittura di Guidi.
Tra l' altro, detto per inciso, c' è un ritratto di donna da lui dipinto nel 1931 ( olio su tavola cm. 76,5 x 63,5 - collezione privata ), che sembra rappresentare il volto della stessa Socin:  il che, preso atto prima di tutto della chiara somiglianza, pare assai probabile se si considera la data, coincidente con gli anni comuni trascorsi all' Accademia, e anche la collocazione dell' opera  (Venezia).

E in questo stesso periodo pure per  le sue figure perse nei loro pensieri, sole, meditabonde la Socin sembra trovare un punto di riferimento fondamentale ancora nella pittura di Guidi.  Ma mentre il suo maestro colloca i ritratti di questi anni in una dimensione sospesa che sembra indirizzarsi verso una sorta di germinante geometrizzazione modulare dei volti,  la Socin cerca con più evidenza  una sia pur misurata introspezione psicologica che non ha alcuna volontà d' astrazione:  lo si vede bene in opere come lo stesso RITRATTO  DEL  MAESTRO  VIRGILIO  GUIDI,  BAMBINA  IN  BLU  (1934), VIOLETTA  (1935).    Ne viene fuori un mondo austero, riservato,  fondato su sani principi etici e attraversato anche da una certa malinconia.

Non appena finita l' Accademia, nel 1932, Tullia Socin compie un  importante viaggio d' aggiornamento a Parigi, dove dipinge ed espone un quadro raffinato e tecnicamente mirabile come   DONNA  CHE  LEGGE, vicino per certi aspetti al clima della Nuova Oggettività ma senza esasperazioni ed asprezze formali.  Probabilmente nella Ville Lumière  l' artista bolzanina rimane colpita soprattutto dall' inquieto neoclassicismo di André  Derain, parallelo a quello dei maestri italiani del novecentismo.
Due anni dopo, nel 1934, la Socin è a Roma, nello studio di Giulio Bargellini, che la avvicina alla tecnica dell' affresco  apprezzandone la determinata e spiccata vena artistica.  Ed un' opera rilevante della Socin come  RAGAZZA  IN  ROSSO  (1935) sembra appunto concepita con l' integrità e la compattezza materica di un affresco.  Nè va dimenticato, per completare il quadro dell' artista bolzanina, il suo interesse per la pittura di significativi maestri locali come Albin Egger Lienz (scomparso nel 1926) o come il trentino Gino Pancheri  con il quale condivide l' idea di un sicuro realismo che mai sia puro e semplice naturalismo. A proposito di Pancheri notava infatti Giulio Carlo Argan nel 1942:  " Questo colore immemore della sua genesi naturalistica, altro non è che la condizione stessa del franco realismo di Pancheri: tanto più umano quanto meno naturalistico ".  (cfr. G.C.Argan, Gino Pancheri, catalogo della mostra, Torino, 14-24 febbraio 1942)

Così alcune opere della Socin come  BAGNANTE (1935)  e  LO  SCOLARO  (1936) sono quasi sulla stessa lunghezza d' onda dell' ESTATE    (Bagnanti, tre ragazze sulla spiaggia)  del 1937, o di CAFFE'  DI PROVINCIA  (1938)  dello stesso Pancheri, con il quale si può ipotizzare un reciproco scambio  d' esperienze, essendo i due artisti pressochè coetanei  ( l' uno nato nel 1905, l' altra nel 1907).  Per le nature morte di Pancheri, inoltre,  Argan ha parlato di un colore disintegrato  in un  "divisionismo puramente mentale".  E non a caso dalla seconda metà degli anni Trenta fa la sua comparsa nelle opere della Socin una sorta di personale e vibrante divisione coloristica che innerva di vitalità le sue composizioni peraltro spesso popolate di rimandi alla pittura quattrocentesca, in opere come  GIOVANI  ITALIANE  (1937),   LEGIONARIO  (1938),   LAVANDAIA  (1939),   GIOCATRICI  DI  PALLACANESTRO  (1940).

Parallelamente al completamento della propria formazione Tullia Socin avvia anche un' intensa attività espositiva, debuttando alle Mostre Sindacali  (che erano comunque, al di là di ogni giudizio ideologico,  utilissime occasioni di incontro e di confronto pubblico fra artisti oltre che di capillare censimento creativo, ) promosse dal Sindacato Fascista delle Belle Arti.  Nel 1928, 1929, 1930  partecipa alla Sindacale di Venezia e a quella di Trieste.  Inoltre la Socin prende parte a quasi tutte le edizioni delle Sindacali di Trento e Bolzano fra il 1930 e il 1942 e viene invitata a molte Esposizioni interregionali e nazionali, ricevendo vari premi e conquistando l' attenzione della critica nonchè l' apprezzamento di molti illustri colleghi presenti nelle giurie  ( fra gli altri Gino Severini, Carlo Crrà, Felice Casorati, Renato Guttuso ).   In questo contesto Tullia Socin cerca sempre di tenersi lontana da stringenti costrizioni ideologiche e solo quando non ne può proprio fare a meno,  su esplicita e cogente richiesta del bando di concorso, accetta di misurarsi con i temi allora dominanti.  E ciò accade in realtà solo in tre occasioni, con le opere  GIOVANI  ITALIANE  (1937),  LEGIONARIO  FERITO  (1938),   MEDAGLIA  ALLA  MEMORIA  (1939),  peraltro tutte connotate da una sobria discrezione compositiva e da un rigoroso controllo formale che non cedono mai troppo alle fanfare della retorica.

La tragedia bellica e tutta una serie di spostamenti obbligati e di difficoltà comuni a tanti altri artisti interrompono l' attività espositiva pubblica della Socin e ne rallentano la produzione creativa. 
Però tutto ciò giova anche alla sua maturazione interiore, all' emersione di nuove istanze ed esigenze che troveranno un importante elemento  catalizzatore nel rapporto di lavoro e d' amore instauratosi con un artista come lo scultore spezzino Enrico Carmassi conosciuto nel 1933 a La Spezia e sposato nel 1944 a Bolzano.
Dalla metà degli anni Quaranta il marito coinvolge Tullia nella realizzazione a quattro mani delle sue sculture e dei suoi bassorilievi in ceramica:  Carmassi plasma le forme mentre la Socin le patina e ne studia la veste cromatica.  A questo proposito, nella mostra di Sabaudia sono esposte 14 opere realizzate in coppia dai due artisti.  E per la Socin questo impegno ha costituito una sorta di laboratorio in cui ripensare tutta  la propria arte, soprattutto nel senso di un rafforzamento del colore che s' accende e quasi s' infuoca misurandosi in particolare con l' emergenza materica.  Sia l' esperienza tecnica con l' affresco  (accanto a Bargellini) che quella con la ceramica trasmettono all' artista di Bolzano un senso costruttivo e strutturale del colore, che si fa tutt' uno col supporto per perdere qualsiasi valore puramente di superficie.

Non va d' altro canto trascurato il fatto che i due artisti appena sposati si trasferiscono a Torino  (poi si sposteranno nella cittadina piemontese di Castellamonte e dal 1958 torneranno nel capoluogo piemontese )dove hanno modo di conoscere le opere degli artisti del Gruppo dei Sei  ( Gigi Chessa, Nicola Galante, Francesco Menzio, Carlo Levi, Enrico Paulucci e Jessie Boswell ), dense di rapporti con la pittura fauve e in particolare con Matisse e Derain, oltre a quelle di un artista fondamentale come Luigi Spazzapan tuttora ingiustamente sottovalutato.
Fin dalla metà degli anni Venti nelle opere inquiete e guizzanti dell' artista di Gradisca d' Isonzo confluiscono multiformi esperienze culturali  ( cubismo, futurismo, espressionismo tedesco, influssi fauve ) mentre dal 1953 la sua sperimentazione si avvicina con una certa precocità di date alla temperie dell' informale, ma in modi assai personali, magmaticamente lirici e visionari, fondati su baluginanti fuochi d' artificio cromatici che diventano metafore di esplosioni cosmiche e di un' inquietudine che dal suo animo si trasmette a tutto il mondo come una scossa elettrica, notturna e infuocata.

Se a tutto questo si aggiunge la visione di un mondo totalmente cambiato dalla catastrofe bellica e dalla sconvolgente rivelazione nucleare,  è evidente che un' artista sensibile come la Socin non poteva fare a meno di registrare tali istanze sperimentando decisamente un' altra e rinnovata via. Così, dalla seconda metà degli anni Quaranta, si misura con la koinè europea del neocubismo sfuggendo però a qualsiasi rigido schematismo grafico e dando libero campo alle nuove accensioni cromatiche.  E'  evidente   - le opere stesse lo dimostrano -   che in questi anni la Socin è pienamente al corrente delle novità portate dagli artisti  del Fronte Nuovo  delle  Arti  e da quelli di  Forma 1, oltre che aggiornata sull' aspro dibattito che inizia a contrapporre astrattisti e realisti.  Ecco allora nascere quadri in cui il contrappunto quasi musicale dei piani colorati ha la meglio
sull' evidenza plastica e volumetrica,  opere come  TESTA  DI  DONNA  (1947),
CASE  SOTTO  IL  SOLE  (1950),   ALTALENA  (1952),   CICLISTE  (1952),
l' immaginifico  UOMO  ALLA  FINESTRA  (1953),  immerso in uno spazio caleidoscopico,  e via discorrendo.

A cavallo fra la fine degli anni Cinquanta e i primi Sessanta, la Socin, riflettendo attentamente sulla lezione di Spazzapan  (esemplificata  da capolavori come  ROSSO  DOMINANTE  del 1955,  TORNADO  DEL 1956,  SPRAZZI  DI  LUCE  NEL  COSMO  del 1957), sembra anche condividere in cifre pienamente personali quell' idea di informale come estrema immersione nella natura teorizzata  da Francesco Arcangeli.  Nelle ricerche informali gli artisti cercano infatti  una diversa identità dello spazio che non è più il contenitore della rappresentazione, il vuoto contrapposto al pieno,  ma il luogo dell' esistenza creativa in atto, non data a priori, vissuta fenomenicamente nella prassi e nell' emozione diretta volta all' archetipo.  

Nasce così uno spazio vitale, dinamicamente  "organico", che cresce su se stesso obbedendo alle sole  "leggi"  della necessità interiore e spirituale, in senso laico.  Si entra dentro la materia, in una sorta di cammino parallelo a quello della scienza, ma completamente autonomo da esso.  E si attua in tal modo una sorta di   tabula  rasa   che unisce  "origine"  e  avvenire nel divenire fenomenico dell' opera concepita come correlativo oggettivo del fatto esistenziale.

Così nella pittura della Socin materia e colore diventano tutt' uno, si fanno metamorfici e visionari, danno immagine ad un rapporto empatico ma non pacifico fra il microcosmo interiore dell' artista e il macrocosmo naturale  ( minerale, vegetale, animale ma anche planetario), nelle cui più segrete strutture l' artista bolzanina sembra volersi addentrare.
Lo si vede bene nella bellissima serie di nove tecniche miste distese fra il 1966 e il 1973  ed in opere come la baluginante CONTROLUCE  (1962),  la notturna  SINFONIA  LUNARE  (1968),  il turbinoso  VORTICE  (1968),  fino ai lavori in cui l' artista prende possesso anche di materiali tratti dalla realtà esterna, come accade in  VOCI  NELL' UNIVERSO
(1970)  e   ROTEAZIONE  SOLARE (1970),  tanto per citarne due fra i più efficaci.

Dalla concezione contemplativa, immobile e asceticamente realista degli anni  Trenta - Quaranta  Tullia Socin è ormai approdata alla libertà assoluta dell' azione pittorica che si inabissa nelle profondità di una natura in perenne divenire, pullulante, vorticosa, ma sempre colma di guizzanti tracce ed impronte umane, da custodire con cura.

Gabriele  Simongini



Testo nel catalogo  della  Mostra   antologica  "Tullia Socin",    Sabaudia     Museo  EMILIO  GRECO ,  19 luglio  -  16 agosto 2008,  pagg.15, 16, 17.

Wikipedia tullia socin

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