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Maria Pia Socin, Il Novecento Italiano e la pittura di Tullia Socin

 

Singolare destino di persona e di artista quello di mia sorella Tullia Socin, destino che la vede nascere a Bolzano nel 1907, contemporaneamente all'erompere fervido e tumultuoso delle avanguardie culturali e artistiche, le quali - in Europa come in Italia - fin dagli albori del Novecento ne caratterizzano storicamente la funzione straordinariamente creativa e innovatrice.
Quando - nel 1909 - F. T. Marinetti pubblica a Parigi su "Le Figaro" il suo "Manifesto del Futurismo" e Prezzolini - Papini - Soffici manifestano il fervore innovativo incombente su "La Voce" e "Lacerba", mia sorella Tullia ha appena compiuto due anni.
La spinta rivoluzionaria e - per così dire - profetica di queste avanguardie, che avrebbero sovvertito il linguaggio della letteratura e dell'arte a venire, investe tutte le espressioni artistiche della prima metà del secolo: dalla poesia alla pittura e alla scultura, dal teatro alla scenografia, dall'architettura alla musica, alla nuova arte del cinema; investe dunque - ante litteram - non un singolo settore ma la "globalità" degli eventi che sono chiamati in causa dagli artisti a interpretare una società in pieno sviluppo.
Dal 1907, anno della sua nascita, al 1950 - 70, ventennio della piena maturità artistica e personale, fin dalla prima adolescenza mia sorella Tullia - senza soluzioni di continuità - è stata costretta - talora anche in modo conflittuale - a confrontare il suo vissuto quotidiano e artistico con le concomitanti vicende culturali, nonché con quelle - fallimentari - della "grande storia" della prima metà del Novecento: dalle esaltazioni dei totalitarismi imperanti alla tragedia della seconda guerra mondiale con le sue inumane e sconvolgenti conseguenze.
Non meno importanti - nel privato - le morti premature di due fratelli (Mario 1918 - Livio 1921), drammaticamente sentite da Tullia adolescente. Poco più di un anno dopo - nel 1923 - nasceva l'autrice della presente riflessione, "La Sorellina" Maria Pia, di cui Tullia divenne madrina di battesimo insieme all'unico fratello rimastole: Bruno.
In tale contesto anche il mio personale percorso formativo storico-umanistico si è articolato in un clima culturale, che, in famiglia, si esprimeva in modo vivacissimo, aperto a tutte le sollecitazioni dello spirito con particolare interesse verso la produzione dei suoni e delle loro infinite variabili espressive per parte di padre, nonché verso le suggestioni del colore, della natura, come di ogni forma d'arte e/o di vita per parte materna.
Tutto questo ha determinato - come tuttora determina - anche la "singolarità" del mio personale destino, che, fin dall'infanzia - (anni trenta) - e per oltre un decennio - (1944 matrimonio di Tullia con il grande scultore Enrico Carmassi e trasferimento della coppia a Torino) - mi ha, per così dire, chiamata a condividere con la famiglia - registrandole puntualmente - tutte le tappe dell'esperienza artistica di Tullia: aspirazioni, vicende, successi, riflessioni, approfondimenti personali, rapporti di reciproca stima e considerazione con alcuni Maestri e/o protagonisti della cultura del secolo, fra cui Virgilio Guidi, che la ebbe allieva all'Accademia di Venezia, Giulio Bargellini, che la introdusse nella tecnica dell'affresco; Gino Severini, membro della giuria che assegnò a Tullia il I° premio pittura per l'opera "Le Modelle", esposta a Napoli nel 1937; F.T. Marinetti, presidente della giuria che assegnò a Tullia la medaglia d'argento per le opere esposte a La Spezia nel 1934; e ancora Fillia, Prampolini, Ugo Ojetti, Casorati ed altri. Per non parlare dell'ovvia consuetudine con i colleghi, che in sede provinciale e regionale atesino-tirolese condividevano autorevolmente con Tullia la presenza artistica alle biennali locali, trasferite anche in territorio interregionale: Kienlechner, Regele, Piffrader, Gabloner, Delago, Casalini, Bonacina, Pancheri, De Pero.
Non di rado sono stata anche testimone pressoché oculare dell'esecuzione, della collocazione, dei risultati di alcune sue opere più note e/o meno note (alcune addirittura ancora inedite), di cui sono oggi vigile custode.
Pur non presumendo, certo, di essere critico d'arte, alla luce della mia esperienza culturale sostenuta dalla lucidità dei ricordi e dall'ampia documentazione in mio possesso, tutto ciò mi consente di tentare una riflessione sul percorso artistico di Tullia Socin, prendendo in esame il messaggio e la pittura del complesso delle sue opere in stretta correlazione con la successione cronologica della loro esecuzione.
Tullia Socin comincia a esprimere compiutamente la sua creatività negli anni Trenta, quando la prima stagione pittorica del futurismo può dirsi conclusa con la fine della I° guerra mondiale, la prematura morte, nel 1916, di uno dei suoi alfieri, Umberto Boccioni, l'allontanamento verso altre esperienze di Carrà, Severini e altri (pittura metafisica, cubismo ecc.).
Si apre così un'altra fase, per cui, sembra lecito parlare al plurale di "futurismi", i quali, imboccando varie direzioni, vedono attenuarsi o modificarsi lo slancio e l'ideologia, che, ad inizio secolo, avevano sorretto il primo esplodere del movimento.
Tullia Socin, pur condividendo con i giovani artisti dell'epoca il persistere dell'esigenza di un continuo, dinamico rinnovamento del linguaggio artistico, vuole però darle espressione in un impianto compositivo e strutturale non dimentico della grande tradizione pittorica. "Donna che legge", "Sogni di madre", "Il piccolo ascaro", "Conversazione" sono tele, in cui chiaramente emergono «abilità disegnativa, senso e limite del colore, stile, raffinato buon gusto».
Ma sono anche gli anni in cui Tullia Socin sembra prediligere una sorta di "nuova oggettività" fredda e distaccata ("Ritratto della madre" - "Contadino Tirolese" - "Giovani Italiane" - "Il legionario ferito" - "Medaglia alla memoria" - "Pallacanestro"), prendendo le distanze da ogni forma di coinvolgimento settario sia sul piano culturale, che, ancor più, su quello ideologico-politico.
Per altro verso, negli stessi anni, la ricerca della pittrice non esclude l'analisi puntuale dell'impressionismo, con particolare riguardo ai suoi favoriti Renoir e Cezanne. Ciò nondimeno nessun vincolo o freno di sudditanza sembra condizionare l'autonoma libertà sia strutturale che cromatica e stilistica della sua fantasia creativa. Con caparbia ricerca Tullia Socin arriva a costruire un "suo" personalissimo linguaggio espressivo, che si traduce in una pittura, per così dire, "d'atmosfera".
Di dipinto in dipinto l'artista chiama l'osservatore attento a "partecipare" alla fugacità inafferrabile del sentimento espresso, senza indulgere al piacere retorico di una sua "illustrazione descrittiva". Tullia Socin, insomma, ha compreso ed invita a comprendere, come il mero "racconto" non possa più interessare la pittura, la quale, invece, per rinnovarsi, impone il fremito sensitivo del dubbio, delle esitazioni, delle fiere resistenze; impone ancora una tormentata e tormentosa ricerca, che ignora volutamente ogni compiacenza commerciale ed ogni equivoco, «in cui pure sono caduti tanti artisti di quegli stessi anni».
Nascono così, figure come "Donna in rosso", "Maternità", "Lo scolaro", "Bagnante", "Modelle"; paesaggi come: "Autunno a Tires", "Mattino a Portovenere", "La baia delle Grazie", "Il molo di Lerici"; nature morte come "Natura morta con figura" ed altre.
Ma è Tullia Socin stessa, che può ancora far sentire la sua voce, per rivelare i moti della sua anima d'artista, con la medesima e disarmante spontaneità con cui ne ha reso partecipe la mamma in una lettera da Venezia, scritta il 26 giugno 1934, all'età di 27 anni. Eccola:
Ogni commento sembra veramente superfluo e, comunque, da parte mia, fuori luogo.
Comunque, da tutti i dipinti eseguiti da Tullia Socin nei primi quindici anni della sua attività (1930 - 1945) emerge chiaramente, come l'andamento della composizione - agli esordi «fresca e acerba» - col controllo dell'esperienza e della documentazione assidua vada, via via, acquistando un movimento sempre più solido e sicuro, costantemente aperto a nuove voci, verso le quali, con altrettanta pervicace, assidua costanza, l'artista si impegna a rivendicare orgogliosamente assoluta indipendenza di invenzione, di costruzione, di tavolozza tonale: in una parola di "stile".
Tale atteggiamento si mantiene predominante anche nell'evolversi successivo della sua pittura, che viene a confrontarsi con i vari "ismi" imperanti, negli anni seguenti la fine della 2° guerra mondiale. Tullia Socin ne prende atto, ma non se ne fa mai coinvolgere con adesione acritica. La sua libera creatività rimane pura e lucidissima nella finalità tesa al vero essenziale. Ne è testimone - fra il 1947 ed il 1960 - un gruppo di opere particolarmente intense e "costruite", cui da Palma Bucarelli , accanto ad una «seria ricerca di stile, in talune tele pienamente raggiunta», viene riconosciuto «un forte temperamento ed una aggiornata cultura artistica»: tanto da promuovere l'acquisto di una di esse per la Galleria Nazionale Romana, da lei diretta.
Cito, ad esempio, figure e composizioni come "Le ricamatrici", "La ceramista", "Le cicliste", "L'altalena", "Lo scultore"; paesaggi come: "Giardino verticale", "Il castello sulla strada", "Casa sotto il sole", "Periferia", "Sera sulla villa" ed altro.
Pur nella molteplice diversità delle "occasioni" oggetto di ispirazione, a mio parere, come nel giudizio di molti, in Tullia Socin è, quindi, sempre ravvisabile una stretta parentela tra opera ed opera: un fil rouge conduttore, che non si spezzerà mai nemmeno in tutto l'evolversi della produzione artistica successiva. Essa, infatti, solo apparentemente sembra allontanarsi dalla realtà "oggettiva", per privilegiare, di fronte ad un occhio distratto, intuizione ed immaginazione e confondersi, quindi, con "cedimenti" di natura astratta.
Con indistruttibile coerenza Tullia Socin - invece - rimane fedele a un'ispirazione decisamente immutabile. Infatti, partendo da un figurativismo sempre più distaccato dal reale, Tullia è rimasta fedele, non alla mera realtà, ma al "vero" nel migliore senso della parola.
Nel merito, per Tullia mi sembrano altrettanto calzanti le parole che T. Eliot dedica a Luigi Pirandello quando lo definisce «scopritore del nocciolo della realtà al di là dell'involucro del realismo». Tullia ha, infatti, scrutato la vita intima delle cose, ne ha scoperto le vibrazioni segrete, le particolarità ritmiche, i misteriosi rapporti cromatici. La sua scoperta pittorica è diventata "LA VITA", che palpita in ogni angolo della creazione. La vita non è inerte e perciò non esiste inerzia nelle ultime opere di Tullia Socin: tutto è fluido, tutto scorre. Anche la materia, apparentemente immobile, è percorsa da fremiti di vitalità. Così una roccia non è un inerte composto di elementi chimici, ma una forma viva, che può sprigionare una forza e un dinamismo, che l'artista deve saper interpretare. I titoli stessi dei quadri palesano gli intenti della pittrice: "Pianure e ramificazioni", "Aperta sul muro", "Movimenti in grigio", "Natura viva", "La Traccia", "Segno primitivo", "Ragnatela sulla roccia", "La pietra", "Fossile", "Irruenza", "Il vortice", "Controluce", "Folto verticale", etc..
Nell'ultimo scorcio del Novecento in Tullia Socin non manca anche la propensione per i mondi siderali, avvicinati all'umanità dalle avventure spaziali. Di quella proiezione verso gli astri e verso il movimento vitale che può agitarsi in essi Tullia Socin offre saggi significativi in opere come "Paesaggio lunare", "Vegetazione astrale", "Cerchio chiuso nel cosmo", "La cometa", "Immagine astrale", "Movimenti nello spazio", "Voci nell'universo" e, per concludere, la grande "Roteazione solare", vincitrice nel 1970 della medaglia d'oro alla mostra, che la storica "Società Promotrice delle Belle arti", fondata a Torino nel 1842, organizza con cadenza ricorrente nel capoluogo piemontese e il cui invito (esteso a Tullia per esporre, addirittura, in otto metri di parete) ha contribuito spesso a determinare la carriera e l'autorevolezza di gran parte dei Maestri dell'Ottocento e del Novecento.
In questa ultima fase della sua esperienza artistica, ritengo, che per Tullia Socin non di astrattismo si dovrebbe, dunque, parlare, bensì di "astrazione" dalla realtà, che è tutta altra cosa.
Del resto, anche tutta l'arte figurativa - ivi compresi gli esordi e la maturazione di Tullia - è, di fatto, astrazione, in quanto interpretazione soggettiva della realtà.
Perciò sono convinta che la continua ricerca dell'essenziale, peculiare in tutte le opere di Tullia Socin, non debba affatto essere considerata in funzione del molto frequente simbolismo dell'arte contemporanea, bensì rappresenti una sintesi di argomenti, espressi in un linguaggio pittorico, che da un lato certamente dimostra un efficace dominio della materia, dall'altro proclama, altrettanto vigorosamente, l'assenza di ogni antinomia fra spirito e materia, nonché l'irripetibilità di fatti e momenti particolari, dall'artista lucidamente percepiti. Tullia continua ad intraprendere con l'osservatore un vero colloquio, sempre disponibile verso chiunque voglia veramente parteciparvi.
Credo che Tullia nella sua pittura abbia incessantemente cercato e - forse - talvolta anche trovato, una risposta soprattutto a se stessa, riportando una sensibile vittoria contro la parte meccanica della vita: ciò che, come più volte è stato detto e pubblicato, non soltanto ha fatto di lei una vera artista "moderna"; ne ha anche decretato la "contemporaneità" con ogni età tormentata da sconvolgenti interrogativi irrisolti, come è prerogativa di ogni "vera" arte: contemporaneità, che ritengo sia particolarmente applicabile all'oggi, che stiamo vivendo, di cui Tullia Socin, con intuizione veramente profetica, ha dato testimonianza struggente.

Maria Pia Socin


Fonti di consultazione:

1) epistolario di Tullia Socin;
2) documentazione illustrativa della carriera dall'archivio dell'artista:
a. titoli, motivazioni di riconoscimenti, premi e segnalazioni;
b. recensioni critiche su stampa quotidiana e periodica regionale, nazionale e estera dal 1931 al 1994;
c. cataloghi di partecipazione a mostre regionali, nazionali e internazionali dal 1934 al 1994;
d. carteggio privato e pubblico con enti e gallerie;
3) Giorgia Capurso: da "Le donne e il futurismo - Tullia Socin", catalogo della Mostra "Futurismo", realizzata nel 2006 da "Arte Oltre" a Latina, pag. 83.

Wikipedia tullia socin

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